Quando finisce un ciclo, quando accade qualcosa nella nostra vita che interrompe il fluire della routine, improvvisamente si apre o si riapre quella porta, quello spiraglio dal quale vediamo le cose diversamente. Fino ad un attimo prima la nostra vita è scandita dai ritmi pressanti delle giornate lavorative, dalle decine (e a volta centinaia) di mail che riceviamo e processiamo ogni giorno e dagli impegni belli e meno belli che riempiono le nostre giornate. Poi riceviamo un messaggio che ci dice che una nostra amica è morta, ci sembra surreale, uno scherzo, una cosa assurda, ma è successa veramente. In quel momento capiamo che il tempo è la risorsa più importante a nostra disposizione e sentiamo tutto il peso del dover fare le scelte giuste, di usarlo e di non sprecarlo.
L’incedere del tempo
Siamo abituati a misurare il tempo con l’orologio: i secondi, i minuti, le giornate e gli anni scanditi dalle nostre convenzioni ma il tempo è scandito inesorabilmente dell’incedere della natura che muta ogni istante e che, nonostante il nostro tentativo di addomesticarla, ci insegna il suo ciclo, proprio attraverso la vita.
Pánta rêi (Tutto scorre) – Eraclito, 535 – 575 a.C.
Nascono i nostri figli ed i nostri nipoti mentre noi rincorriamo la nostra esistenza fatta spesso di impegni, pranzi, telefonate e tanti chilometri e tante email. Ci arrovelliamo nel trovare soluzioni a problemi banali e ci arrabbiamo per quelle che non troviamo, perché vorremmo avere di più ogni giorno, perché vorremmo essere più sani, più forti, più belli, più ricchi. E così i nostri figli diventano ogni giorno più grandi e noi ogni giorno meno attenti a quanto stanno cambiando. Ci sembra che tutto sia immutabile mentre riempiamo la nostra testa di una miriade di informazioni per la maggior parte inutili. Ci sembra che tutto sia immutabile fino a quando la vita non fa sentire la voce con forza, fino a quando un evento non ci fa nuovamente cambiare prospettiva.
“Anna aveva 58 anni e non la vedevo da ormai qualche anno. Eravamo stati colleghi, io molto più giovane di lei, lei alle mie dipendenze. Chi sa come deve essere stato dipendere da una persona venti anni più giovane, me lo sono chiesto solo adesso, ma non penso che avrò più una risposta. In una piccola chiesa moderna di un piccolo paese veneto un centinaio di persone si sono raccolte per salutare una persona che ha fatto parte della loro vita, e, mentre guardavo i genitori di Anna, ormai ultra ottantenni, mi sono chiesto quanti come me fossero lì troppo tardi. Troppo tardi perché presi dalle mille cose da fare al punto che erano passati anni senza sapere nulla l’uno dell’altro, fino a quel momento. Anche il ricordo del prete mi sembrava vago ed adattabile a qualsiasi persona. Cosa vorrei che le persone ricordassero di me? Forse niente di speciale, forse, semplicemente il tempo che ho dedicato loro.”
Quando non celebri solo le nascite (delle quali poi ti dimentichi) ma inizi a ricordare gli amici che non ci sono più allora capisci che, nonostante tutti gli sforzi che fai, il tempo avanza e non è il tempo dell’orologio è il tuo tempo di vita!
Siamo abituati a mette da parte molte cose, a creare grandi casseforti dove nascondiamo con cura ed attenzione i nostri gioielli, ma non abbiamo nessuna cassaforte per il nostro tempo. Non esiste! Nessuno ha mai inventato un sistema per mettere da parte il tempo e nessuno ha trovato il modo di vendere il tempo a qualcun altro.
Il tempo di qualità
Qualcosa l’abbiamo inventata: il tempo di qualità! Non serve passare molto tempo con i nostri affetti, siano essi figli, nipoti, nonni, genitori o zii (ecc.), l’importante è che il tempo dedicato a loro sia un tempo di qualità. Ma cosa vuol dire?
“Un giorno ho chiesto ad una persona “importante” (come si giudica una persona importante?) ad un amministratore delegato di una grande azienda dove trovava la forza per vivere come viveva: lavorando senza sosta sapendo che aveva una figlia ed un marito che vedeva solo di rado. La risposta è stata che è sufficiente dedicare del tempo di qualità alle persone, che non ha senso dedicare molto tempo, ma quel poco che si dedica deve essere di qualità. Ho quindi chiesto cosa significa tempo di qualità e mi ha risposto che quando passa del tempo con la figlia non pensa al lavoro e quando lavora non pensa alla figlia.”
Il principio è lodevole, ma si può veramente programmare in questo modo la propria vita? È veramente possibile scegliere quando dedicare tempo alle persone e quando non dedicarlo? Quando nostra figlia, il nostro partner o i nostri genitori hanno bisogno di parlare, hanno bisogno di un nostro consiglio o semplicemente di essere ascoltati e non ci siamo cosa se ne fanno del tempo di qualità che abbiamo programmato per la prossima settimana o per il prossimo mese?
La verità che vogliamo sempre di più, che siamo presi dalla continua rincorsa verso cose che ci fanno ingrassare e che stiamo perdendo la nostra libertà. Siamo liberi di scegliere quello che vogliamo ogni giorno di più ma cosa possiamo veramente scegliere? Andiamo al supermercato e possiamo scegliere tra decine di tipi di pasta, il banco frigo del latte è pieno di ogni genere di marche e tipi di prodotti a lunga scadenza, a media, pastorizzato, scremato, parzialmente scremato, latte digeribile, meno digeribile e addirittura latte senza latte. Ma è questa la libertà che vogliamo? Addirittura la frutta sbucciata perché non abbiamo più tempo per sbucciarla e quindi ci siamo inventati di toglierla dal proprio involucro per metterla in uno di plastica!
La ricerca dell’equilibrio
Quindi quale è la soluzione? Dedicare tutto il nostro tempo alle altre persone, lasciando le nostre attività e i nostri impegni per essere sempre disponibili? Neanche questa è libertà, vorrebbe dire sacrificare sé stessi, le proprie aspirazioni ed i propri sogni e non vivere le proprie passioni.
La morte ci ricorda che tutto ha un inizio ed una fine in un disegno che sembra chiudersi su sé stesso congiungendo la partenza con la fine in un ciclo che si completa per lasciare spazio ad un nuovo ciclo tutto da scoprire. Questo non vale solo per la vita nella sua totalità ma anche per le cose che facciamo all’interno della vita stessa.
Quando non ci sentiamo più adatti a fare quello che facciamo e continuiamo a farlo, quando sentiamo che un amore è finito e ci aggrappiamo per non lasciarlo andare, quando ci ostiniamo a ricercare la gioventù attraverso la chirurgia non stiamo accettando che la vita è un continuo scorrere, che un ciclo si è concluso e se ne aprirà un altro, ignoto e forse angosciante perché sconosciuto, ma allo stesso tempo emozionante e stimolante.
L’acqua del fiume nella quale immergi il primo piede è diversa da quella in cui immergi il secondo
Perché questo finalismo è così peculiare dell’essere umano? Forse perché nello spazio che c’è tra l’inizio e la fine, tra l’alfa e l’omega, ci giochiamo tutte le nostre carte e tutte le nostre libertà. La libertà di scelta, preponderante sull’istinto che regola e guida la vita degli animali, ci induce la consapevolezza di dover fare la scelta migliore, quella più conforme alla nostra natura e alle nostre caratteristiche, dando significato all’inizio e la fine.
Questa ricapitolazione intelligente delle cose, questo finalismo è un’intuizione vecchia almeno duemila anni:
“Io sono l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine, l’origine e il punto d’arrivo” Apocalisse 22,13
La nostra cultura tende, tuttavia, a dimenticarla lasciando spazio alla dicotomia tra il bene ed il male, alla continua lotta per vincere la malattia più grande di tutte: la mortalità.
Niente meglio di un grande simbolo asiatico, cinese, rappresenta come la vita, l’universo è l’armonia degli opposti, perché non c’è acqua senza fuoco, non c’è femminile senza maschile, non c’è notte senza giorno, non c’è sole senza luna, non c’è bene senza male.
Il simbolo dello yin e dello yang rappresenta questo concetto in una ruota nella quale il bianco e il nero si abbracciano e all’interno del nero c’è un punto di bianco e all’interno del bianco c’è un punto di nero. Solo quando accettiamo la sofferenza come parte del piacere possiamo godere di quest’ultimo e sopportare la prima. Noi non accettiamo che la nostra vita abbia in sé la sofferenza e facciamo di tutto per nascondere che accanto al piacere c’è la sofferenza, tanto che inventiamo pastiglie miracolose per ogni male fino a creare pastiglie che ci proteggono dalle pastiglie.
Ma nessuna pastiglia ci può dare la felicità e nessuna medicina ci può ridare il nostro tempo. La guarigione è la ricostituzione dell’equilibrio e, allo stesso modo, la vita è il mantenimento di questo equilibrio.
La soluzione, secondo noi, non sta nel programmare il “tempo di qualità” e neppure nello scegliere di ritirarsi in una vita da asceta nel tentativo di rifuggire ogni tentazione. La soluzione sta forse in questo simbolo cinese, nella ricerca dell’equilibrio interiore, nella consapevolezza che stiamo usando bene in nostro tempo dando spazio ai nostri bisogni, ma curando anche quelli degli altri perché solo attraverso la comprensione del fatto che tutto è uno possiamo trovare il significato di quello che facciamo.
In ricordo di Anna
Foto di Nicolas Raymond / CC BY