E’ migliore il modello organizzativo che privilegia la flessibilità o quello parcellizzato della lean production ?
Il cambiamento dei mercati sta generando un diverso modo di produrre e di gestire le aziende.
Una azienda ha un vantaggio competitivo se non possiede solo persone con le competenze necessarie per affrontare l’immediato ma se ha anche le risorse in grado di affrontare il domani, ossia se possiede persone disposte a mettersi in gioco, a cambiare, persone flessibili, curiose e con la voglia di crescere.
In questo modo l’azienda sarà pronta ad affrontare i cambiamenti quando arriveranno.
Il modello dell’artigianato
La flessibilità si è trasformata da condizione migliorativa a condizione necessaria per affrontare le sfide di questi anni.
Bisogna essere flessibili non solo per rispondere alle richieste tradizionali del mercato, come la riduzione dei tempi di consegna o la richiesta di prodotti solo in particolari periodi, ma la flessibilità è diventata un elemento necessario per disporre di creatività e di polivalenza in azienda.
La flessibilità diventa anche elemento di coinvolgimento attivo delle persone.
Negli ultimi anni, sempre di più la produzione deve rincorrere la stagionalità dei prodotti e soddisfare le più svariate richieste dei clienti.
I magazzini hanno perso parte della loro funzione di livellare le capacità produttive, così la produzione è sempre più direttamente legata all’andamento dei mercati e delle vendite.
In questo contesto è fondamentale disporre di una notevole flessibilità della manodopera, non solo tramite il ricorso all’esterno ma anche tramite la flessibilità interna.
La flessibilità delle risorse umane in ambito produttivo, al contrario del Taylorismo, prevede l’impiego in ambiti che permettano una più ampia visione dei processi e dei propri compiti e non più solo l’impiego in ambiti fortemente parcellizzati.
Questo significa che nelle fabbriche dovrebbero essere ricreate delle situazioni simili a quelle presenti nell’artigianato dove la persona ha una visione molto più completa del prodotto, del suo ciclo di lavoro e quindi del proprio ruolo nell’azienda.
Una visione completa presuppone avere cicli di lavoro più lunghi, di almeno 1 ora, e non più strettamente ripetitivi come quelli classici del lavoro in linea di assemblaggio, della durata di uno o qualche minuto.
Cicli più lunghi permettono alla persona di “ personalizzare “ il proprio ritmo di lavoro, garantendo comunque la cadenza prestabilita dei pezzi da produrre : il takt time.
Questa visione dell’organizzazione produttiva però va in contrasto con la filosofia della lean production che assomiglia più alla classica linea di montaggio che al lavoro nelle isole, tipico dell’artigianato.
Allora quale modello organizzativo produttivo è quello migliore, il modello che privilegia la flessibilità o quello parcellizzato della lean production? In realtà né uno né l’altro.
Un nuovo modello di lean production
La sfida è quella di creare una diversa visione della lean production che non deve più essere focalizzata nella sua accezione più rigida di introduzione di metodologie di lavoro esageratamente standardizzate, quindi non deve più essere considerata come un unico tubo di cristallo in cui tutte le cose fluiscono ( citazione del Prof. Bonazzi dell’Università di Torino ), in quanto il tubo di cristallo sta a significare che esso è molto fragile.
Infatti se qualcosa non funziona correttamente ed in modo assolutamente preciso, questo tubo si rompe.
La lean production deve essere considerata come una serie di tubi o di segmenti disgiunti ma collegati tra di loro dalla presenza dei buffer intermedi o supermarket.
In questo modo non è più necessario che tutto sia perfettamente sincronizzato, il sistema non deve più essere fortemente stressato in quanto la velocità della linea può essere autoregolata all’interno dei singoli segmenti.
Se il segmento di tubo è sufficientemente lungo, gli operai che vi lavorano all’interno hanno la possibilità di esprimere maggiore flessibilità in quanto possono vedere e comprendere una parte più significativa del prodotto e del suo ciclo e processo produttivo.
All’interno di ogni segmento di tubo vi devono essere gruppi di lavoro autonomi che seguono la job rotation.
In questo modo si abbandona il concetto di pura parcellizzazione del lavoro.
Ragionando in questo modo ci si sposta gradualmente da una organizzazione per funzioni ad una organizzazione per processi.
La stessa analisi delle criticità dei processi comporta la necessità della loro comprensione e quindi il ragionamento per processi, anziché per funzioni, diventa indispensabile.
Perciò la chiave di volta per perseguire la flessibilità è suddividere l’azienda nei suoi processi chiave e trasformare tutti i processi nel modo più snello possibile.
Un modo per trasformare l’azienda in organizzazione per processi può essere quello di lavorare per commessa, dove un gruppo di persone porta avanti la consegna dell’intera commessa.
In questa organizzazione una stessa persona può occuparsi di più commesse contemporaneamente (in parallelo) e quindi appartenere a più team di lavoro contemporaneamente.
In ogni caso, a monte di questi processi organizzativi vi sta la flessibilità nella testa delle persone e le persone innovative e creative sono quelle più difficili da gestire.
Design to Logistic
Attivare la flessibilità significa favorire le idee, la creatività ed il miglioramento ma essa comporta anche delle riflessioni e dei cambiamenti organizzativi di alto impatto, come ad esempio la necessità di avere dei presidi tecnologici.
La rotazione delle persone sugli impianti e sulle macchine ne riduce la capacità di presidio, ossia si riduce la sensibilità della persona a cogliere anche i segnali più deboli di mal funzionamento.
Il problema è tanto più grande quanto più alta è la tecnologia degli impianti.
Si può ovviare a questo pericolo introducendo delle figure dedicate il cui compito primario è garantire la massima disponibilità delle macchine e degli impianti: il responsabile tecnico di impianto.
Questa persona deve controllare l’efficienza tecnologica e pretendere soluzioni organizzative e tecnologiche sia dalla manutenzione che dalla produzione, in un’ottica di forte responsabilizzazione al presidio tecnico.
Un altro impatto introdotto dalla flessibilità è la necessità di far crescere le competenze per gestire le organizzazioni e le tecnologie.
Non sarà più possibile ricorrere al lavoro stagionale a bassa qualificazione ma la flessibilità interinale deve essere accompagnata da una flessibilità strategica costruita nel medio e lungo periodo che richiede l’attivazione di piani di formazione e di sviluppo delle competenze, dell’organizzazione e del management.
Questa impostazione a “ doppia flessibilità “ crea in fabbrica due tipologie di lavoratori, quelli fissi, con elevate competenze, e quelli interinali con più bassa competenza.
Le difficoltà che nascono nei rapporti tra queste due tipologie di lavoratori, a volte accentuate dall’appartenenza alle diverse culture, devono essere affrontate.
Un modo per affrontare i problemi introdotti dalla flessibilità, e ridurre i costi che essi comportano, è quello di progettare e realizzare prodotti e processi produttivi con con struttura a fungo.
Ciò significa che i prodotti devono essere molto simili e quindi standardizzati nella prima parte del processo, mentre la differenziazione si deve attivare il più a valle possibile del processo produttivo.
Perciò il numero di componenti che compongono il prodotto deve essere tenuto molto basso nella prima parte del processo e poi proliferare nelle parti finali.
In questo modo si ha una flessibilità che convive con la standardizzazione.
Questo modello definito Design to Logistic permette di avere una parte della produzione stabile, ripetitiva e standardizzata, nei processi più a monte dove gli obiettivi da perseguire sono la semplicità e l’efficienza, permettendo al contempo di avere una parte dei processi posti più a valle in grado di rispondere alla necessità del cliente ed ai cambiamenti del mercato, dove l’obiettivo primario è la flessibilità.
Le persone che lavorano nelle due parti del processo, quella più a monte e quella a valle, devono avere caratteristiche, professionalità e formazione diverse.