Multitasking mentale

di gaetano
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Oggi è sempre più frequente trovarsi in condizioni di multitasking, anche perché la tecnologia a nostra disposizione ci invita ad eseguire più compiti contemporaneamente, ad esempio, la possibilità di mantenere aperte contemporaneamente molte finestre nel desktop, che rappresenta il primo sviluppo del paradigma della direct manipulation (Schneiderman, 1998), consente di eseguire allo stesso tempo numerose attività differenti.


Se da un lato le finestre multiple, la messaggistica istantanea, l’email ed i programmi di notifica favoriscono lo svolgimento di più compiti contemporaneamente ed alimentano l’illusione di una maggiore efficienza, dall’altro possono avere effetti molto negativi. Uno studio condotto da V. M. González e G. Mark (“Constant, Constant, Multi-tasking Craziness”: Managing Multiple Working Spheres) ha stabilito che gli impiegati negli uffici non riescono a rimanere concentrati per più di tre minuti consecutivi prima di essere interrotti da una telefonata, un’e-mail o un collega. Una ulteriore recente indagine condotta dalla European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, evidenzia che un terzo degli occupati dell’Unione Europea dichiara di essere interrotto spesso o molto spesso durante l’attività lavorativa.

Vivere in una costante condizione di multi-tasking comporta un grande dispendio di energie e di risorse cognitive. La condizione di lavoro in multi-tasking è solo illusoria, infatti il nostro cervello è in grado di passare velocemente da un compito all’altro, ma lavora sempre in serie a meno che uno dei due compiti assegnati non sia sufficientemente semplice o ripetitivo da non richiedere un’elaborazione attentiva (conscia).

Ad esempio, è questo il caso di quando si guida e si parla contemporaneamente. L’atto di guidare è diventato automatico. Tuttavia se l’attività principale diventa complessa o anche semplicemente nuova, inusuale tendiamo a sospendere tutti gli altri compiti. In condizioni di traffico intenso o quando si cerca di orientarsi in una città nuova si interrompe la conversazione o si spegne la radio proprio a causa del fatto che la difficoltà del compito primario satura la capacità di attenzione e di elaborazione delle informazioni.

L’affaticamento mentale

La Psicologia Cognitiva ha cercato di elaborare degli strumenti specifici per misurare il grado di affaticamento mentale introducendo l’idea di carico di lavoro mentale (o Mental Workload), basato sul concetto che il sistema cognitivo umano dispone di capacità limitate per elaborare le informazioni in input. Esistono diversi modi per misurare il carico di lavoro mentale:

  • Misurazioni comportamentali:
    si misura il numero di errori commessi nello svolgere il compito secondario mentre si esegue quello primario, ad esempio si può richiedere di eseguire dei calcoli (compito primario) e di premere un pulsante quando si accende una spia (compito secondario). All’aumentare della complessità dei calcoli il numero di errori o il ritardo nell’esecuzione dei calcoli aumenta.
  • Misurazioni soggettive:
    si riferiscono essenzialmente alla somministrazione di questionari standardizzati che richiedono, dopo l’esecuzione di un compito, di rispondere ad una o più domande che rilevano la percezione di difficoltà nell’esecuzione del compito svolto. Tra i questionari più usati vi è il NASA Task Load Index.
  • Misurazioni fisiologiche
    forniscono una stima del carico di lavoro mentale sulla base dell’intensità di attivazione fisiologica come l’aumento del battito cardiaco, potenziali cerebrali evocati, dilatazione della pupilla, respirazione, cambiamenti nei livelli ormonali, ecc.

Il Dipartimento dei Trasporti degli Stati Uniti stima che parlare al cellulare mentre si guida possa essere una delle cause nel 50% degli incidenti. Parlare al cellulare (compito secondario) distrae risorse dal compito primario (guidare) e il rischio d’incidenti aumenta di quattro volte. L’utilizzo dell’auricolare o del viva-voce, nonostante consentiti dalla legislazione, non comporterebbe alcuna differenza significativa.

In caso di esposizione prolungata a carichi di lavoro mentale elevati anche le capacità cognitive, così come accade per le capacità fisiche, si deteriorano. In generale, la fatica mentale può essere definita come una condizione di malessere ed efficienza ridotta, dovuta ad un impegno eccessivo e prolungato, che comporta una riduzione della capacità di rispondere agli stimoli dell’ambiente esterno.

In queste condizioni si può osservare una riduzione delle spazio visivo che normalmente si approssima a 180° (“visione a tunnel”).

Si distinguono tre tipi di fatica:

  • Acuta: consegue ad un impegno lavorativo intenso svolto in un tempo breve (molto simile al sovraccarico mentale);
  • Cronica: consegue ad un impegno lavorativo di intensità variabile prolungato nel tempo;
  • Circadiana: legata al ritmo sonno-veglia e dovuta ad un’alterazione nel ritmo stesso (come capita nel lavoro notturno), o da un riposo insufficiente o inadeguato.

Diversamente dal carico fisico, i cui effetti si possono neutralizzare semplicemente attraverso brevi pause e ristrutturazioni del compito, la fatica mentale si recupera solo attraverso periodi di riposo prolungati.

Le interruzioni

Il problema dell’efficienza e dell’affaticamento mentale nelle mansioni moderne inizia recentemente però ad essere studiato soprattutto in relazione ad un’altra condizione specifica: la capacità di gestire le interruzioni.

Il problema delle interruzioni non risiede nell’essere interrotti di per se, ma nel tempo (resumption lag) che si impiega per recuperare la concentrazione sulle attività svolte.

Se tuttavia i compiti sono semplici e ripetitivi l’interruzione volontaria degli stessi può addirittura diventare positiva soprattutto se tale interruzione è considerabile “intrattenimento” (es. la navigazione sui social network). Alcuni studi hanno provato a dimostrare che le persone possono contemporaneamente leggere e scrivere un testo. L’esiguità dei campioni impiegati, la supposizione che uno dei due compiti sia diventato automatico o che la ripetizione dell’esercizio abbia addestrato i soggetti ad eseguire cambi di attenzione molto repentini fanno tuttavia supporre che i soggetti non abbiano dimostrato di possedere capacità di multi-tasking.

Alcuni, come David Silverman, imprenditore, scrittore ed esperto di business sostengono che il multitasking dei computer ha permesso di concepire sistemi in cui qualunque imprevisto può essere gestito immediatamente e senza aspettare le sue conseguenze estreme, giustificando il tal modo che anche per le persone questa modalità di lavoro sia alla fine più produttiva garantendo un numero maggiore di informazioni al lavoratore.

Conclusioni

Al di là dei vari studi, già i greci sapevano che la nostra mente non è in grado di concentrarsi contemporaneamente su due operazioni, due decisioni o due idee diverse, lo dimostra questa favola di Esopo:

“Un corvo che aveva rubato un pezzo di formaggio volò su un ramo di un albero. Una volpe lo vide e volendo per se il formaggio, si mise a lodare il corvo per la sua eleganza, la sua bellezza, gli disse che nessuno meglio di lui poteva essere considerato il Re degli uccelli, e che lo sarebbe diventato presto…<< Peccato che tu sia muto ! >> Allora il corvo, per far sentire che aveva una bella voce, spalancò il becco ed emise un grido. Subito la volpe si precipitò sul formaggio caduto a terra: << Caro corvo, nulla ti mancherebbe per essere Re, se avessi un po’ di cervello >>”

L’uomo può pensare anche molto velocemente, ma sempre e soltanto un’idea per volta. Può essere attratto da più stimoli, ma sempre uno alla volta. Può essere in preda a più sentimenti, ma sempre uno per volta.

Guai ai manager che, saltellando da un compito all’altro o affrontando contemporaneamente più situazioni, mira a farsi ritenere il re dei manager.

Per la vanità di dimostrare le sue capacità di multitasker è condannato a fallire.

Farà la fine del corvo!

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